Serve una classe dirigente di qualità che lavori per il bene comune, così Fabio De Furia interviene in merito alla crisi di cultura politica ed economica che sta coinvolgendo il nostro Paese e sollecita un atto di responsabilità che abbia un solo percorso di contenuti a tutela e interesse dei cittadini e di tutte le imprese.
Presidente come siamo messi?
Il mondo dell’economia che è fatto di uomini e di donne che hanno le stesse responsabilità di cittadini, ma anche di operatori economici, sia da un lato ovviamente combattuto dalla consapevolezza che le norme vanno rispettate, che la politica segue il suo corso e che quindi bisogna soltanto avere la pazienza di attendere, che poi alcuni eventi assumono la caratteristica di spettacolo possiamo rammaricarci ma fa parte di una società moderna. Però accanto a questo c’è una grande stanchezza e che comunque questo insieme di fatti, di eventi, di spettacoli, distragga dai problemi della società, dell’economia, del lavoro e penso che questo secondo elemento è un elemento in forte crescita.
Non oggi, ma sono anni che assistiamo con apprensione a questi fenomeni, di posizioni e interessi personali camuffati per visione, quando il mondo corre e non aspetta le piccole beghe di Palazzo.
Una analisi che rispecchia decenni di gestione da parte di tutte le forze politiche, che fare??
Chiedo a tutti un cambio di marcia e di svolgere l’attività di rappresentanza in modo molto più articolata e finalizzata rispetto al passato, di focalizzarsi di più sulla Comunitá, di fornire con efficacia e rapidità i servizi tradizionali e nuovi, per poter rispondere ai reali bisogni dei nostri concittadini evitando costose ed inutili duplicazioni, puntando ad una razionalizzazione delle risorse disponibili.
Verrà dal continuo progresso nell’automazione che renderà obsoleti molti posti di lavoro e quindi dobbiamo formare al meglio le nuove generazioni per garantire ai nostri figli l’istruzione di cui hanno bisogno, aggiornare il nostro welfare così che sia adatto al modo in cui viviamo, aggiornare il fisco così che sia le persone che le multinazionali che guadagneranno di più dalla nuova economia non evitino i loro doveri verso il paese che ha reso possibile il loro successo quindi, rendere il nostro paese più moderno, inclusivo, aperto ai giovani e alle donne . Possiamo discutere sul come raggiungere questi obiettivi, ma non possiamo metterli in discussione. Se non creiamo opportunità per tutti, la disaffezione e la divisione che ha fermato i nostri progressi non farà altro che aggravarsi.
Pur con tutti i progressi che abbiamo fatto, sappiamo che non è ancora abbastanza.
C’è bisogno di un Progetto Paese che risponda alla fortissima crisi di rappresentanza che investe oggi il nostro Paese, che ha raggiunto il suo apice nella crisi di legittimazione di queste settimane, ma che è onestamente il portato di lunga durata di una progressiva degenerazione degli assetti politico-istituzionali apertasi nel ventennio passato.
Serve unità nella gestione dell’emergenza, per operare le scelte migliori prevenendo strumentalizzazioni, tensioni e scontri; serve unità per uscire il prima possibile da questo incubo; serve unità per iniziare a lavorare su un piano regionale e nazionale che ridisegni il nostro Paese e programmare così le priorità del dopo.
Noi come imprenditori abbiamo bisogno di creare valore alle nostre imprese rafforzando la competitività, di migliorare la qualità della vita dei nostri collaboratori anche come mantenimento o attrazione delle competenze.
Da dove partire allora
Dobbiamo investire di più nella qualità della cultura di chi partecipa alla vita politica del nostro paese e chiediamo la garanzia che le linee guida di chi ci rappresenti pone le condizioni per una nuova stagione culturale politica, semplicemente rafforzando due pilastri del fare politica: Legittimazione ed Autoregolamentazione. Tra i partiti anche quando dissentono, ci mancherebbe in una campagna elettorale, infinita, ci deve essere un reciproco rispetto sostanziale cioè si deve considerare che l’altro rappresenti qualcuno, in quel momento non c’è condivisione, non ci sono le basi di perseguire un obiettivo comune, ma c’è legittimazione reciproca. La differenza di valutazione per quanto grande essa sia non toglie la legittimazione e questo ci porta al secondo aspetto e cioè la mancanza di autoregolamentazione, perché i fenomeni che noi vediamo, sono fenomeni diffusi, cioè il dissenso che noi vediamo devono trovare una capacità in noi stessi di limitare l’azione perché le società liberali senza autoregolamentazione non funzionano e allora il combinato disposto tra la mancanza di autoregolamentazione individuale e collettiva e la mancanza di legittimazione fa si che vediamo tutti questi fenomeni.
Purtroppo – conclude – generazioni di fenomeni, in giro per l’Italia, negli ultimi anni se ne vedono molti, troppi!!!